Quello che viene chiamato "rock" non è soltanto un genere musicale. È uno stato d'animo, un modo d'essere che incrocia la musica, il cinema, la letteratura, il teatro e la creatività in genere compresa quella destinata alla produzione industriale. Per chi è nato negli anni Cinquanta e Sessanta è un sottofondo, una colonna sonora di ogni momento della vita, di pensieri e ricordi. Esiste da sempre e aiuta a vivere meglio...
I Damned suonano a al Rainbow Theatre di Londra in quello che dovrebbe essere il loro concerto d’addio. In realtà lo scioglimento della band è destinato a non essere messo in pratica e a diventare quasi soltanto il primo della loro turbolenta storia. Figli del primo nucleo punk di Londra i Damned nascono nel 1976 dalle ceneri dei Subterraneans. Il loro scopritore è Nick Lowe, produce il loro primo singolo, New Rose, considerato il primo brano punk pubblicato su disco. La loro popolarità viene rafforzata nei primi mesi del 1977 dal singolo Neat Neat Neat e dall’album Damned Damned Damned. Due sono i pregi principali del gruppo: il primo di essere stati il primo gruppo punk a registrare su vinile e il secondo di non essersi mai presi troppo sul serio. Il concerto d’addio chiude soltanto un primo periodo della band che due anni dopo è di nuovo in pista con il doppio Black Album (1980). Negli anni successivi, persa per strada la carica eversiva del punk, svilupperanno nuovi suoni sottilmente psichedelici fino a centrare il grande successo commerciale.
Il 7 aprile 1990 al vertice della classifica dei singoli più venduti in Gran Bretagna c'è The power, un brano dance le cui note di copertina sostengono sia interpretato dagli Snap! In quel periodo nessuno crede che esista davvero un gruppo con quel nome. Infatti Snap! è una delle tante sigle nate per firmare la produzione di musica da discoteca, costruita in sala di registrazione miscelando rap, dance, house, funky e tanti altri generi e sottogeneri. Lo scopo è quello di costruire brani il cui unico requisito è la ballabilità. Il problema degli interpreti si pone soltanto in caso di successo, altrimenti una sigla vale l'altra. Il successo di The power rende perciò necessario dare consistenza spettacolare e televisiva alla sigla Snap!. Viene così inventato un trio composto da un "macho" e quattro ragazze. Il "macho" è Turbo B, all'anagrafe Durron Maurice Butler, un ex pugile con (dicono le biografie) un'esperienza come istruttore di "full contact" per le truppe americane di stanza in Germania. Le quattro ragazze sono, invece, sua cugina Jackie Harris, due sconosciute coriste presentate come Jackie H. e Beverly Broan e la cantante Penny Ford. Quest'ultima è l'unica componente a poter vantare una discreta carriera. Figlia del produttore Gene Reid e della cantante Carolin Ford, ha debuttato come solista nel 1986 e per un breve periodo ha sostituito Lorena Shelby nelle Klymaxx. Trovata la formula ideale, per qualche tempo le azioni del gruppo vanno decisamente bene. I dischi di successo si susseguono uno dopo l'altro mentre gli interpreti prendono sempre più confidenza con il loro ruolo di star. Il periodo buono finirà nel 1992 con il fiasco dell'album The madman's return. Nonostante il buon successo del singolo Rhythm is a dancer la produzione decide di non rischiare ed elimina l'unico maschio. Il povero macho Turbo B viene così sostituito dalla avvenente Nikki Harris, una delle due coriste di Madonna. Il cambiamento non serve però a ridare slancio al progetto. Siccome i creatori di questo tipo di prodotti non possono aspettare, gli Snap! vengono accantonati per far spazio a nuovi progetti più vendibili. L'unica capace di trarre profitto dall'esperienza degli Snap! sarà Penny Ford. Chiusa la parentesi ricomincerà come solista. Non avrà la fortuna del gruppo, ma saprà districarsi affiancando all'attività in proprio lunghi periodi come corista di studio e in concerto. Gli altri spariranno praticamente nel nulla.
Nella mattinata di venerdì 6 aprile 2007 muore il regista Luigi Comencini, uno dei grandi del cinema italiano. La sua caratteristica particolare è quella di saper coniugare l'impegno e la denuncia sociale anche aspra con un linguaggio cinematografico semplice e accattivante. Nato a Salò, in provincia di Brescia, l'8 giugno 1916 nel 1938 quando è ancora studente universitario fa il critico cinematografico della rivista “Corrente” e, insieme ad Alberto Lattuada e a Mario Ferrari, si dedica alla ricerca e alla conservazione di vecchi film. Nel dopoguerra scrive ancora di cinema prima sull’“Avanti!” e poi sul settimanale “Tempo”. Il suo esordio dietro alla macchina da presa avviene nel 1946 con il documentario “Bambini in città”, sulle condizioni dell’infanzia nelle periferie urbane. Due anni dopo gira il suo primo film “Proibito rubare”, ambientato tra gli scugnizzi napoletani, cui seguono “L’imperatore di Capri” nel 1950 con Totò, e due film dedicati al delicato tema della prostituzione: “Persiane chiuse” del 1951 e “La tratta delle bianche” del 1952. La vera svolta nella sua carriera avviene, però, con “Pane, amore e fantasia” nel 1952. Il film ottiene un enorme successo di pubblico e segna la definitiva consacrazione di Comencini tra i grandi del cinema italiano. La capacità di mescolare l’osservazione e il racconto degli umori sociali in vicende apparentemente leggere e divertenti finiranno per essere i tratti caratteristici di quello che all’epoca si chiama ancora “neorealismo rosa” me che qualche anno dopo troverà dignità di genere nella Commedia all’italiana. I funerali si svolgono nel pomeriggio del 7 aprile a Roma in piazza Cavour nella chiesa di rito. Per onorare la sua scomparsa Rai2 modifica la programmazione della serata e manda in onda il suo film "Pane, amore e fantasia".
Il 5 aprile 1944 nasce a Bristol, in Gran Bretagna, il sassofonista Evan Parker. Legato fin da adolescente al mondo dello spettacolo dove ottiene i suoi primi ingaggi professionali come ballerino, inizia a studiare seriamente sassofono a partire dal 1958, quando compie i quattordici anni, sotto la guida di James Knott. Eclettico ed estroso suona il sax contralto fino a quando si ispira a Paul Desmond, ma non appena scopre John Coltrane non esita a passare prima al soprano e poi al tenore. Muove i suoi primi passi nel modern jazz facendosi apprezzare come strumentista, ma non ancora ventenne approda al free da cui si lascia conquistare definitivamente. Nel 1966, dopo le prime esperienze con John Stevens e Derek Bailey entra a far parte dello Spontaneous Music Ensemble. L'anno dopo si dedica a vari progetti con alcuni improvvisatori tedeschi, come Peter Kowald e Peter Brotzmann, con i quali incide vari dischi. Nel 1969, dopo un breve periodo al fianco di Manfred Schoof, entra nel trio di Alexander Von Schlippenbach, che diviene poi un quartetto. Quasi nello stesso periodo suona anche con Pierre Favre e finisce per costituire, insieme ad altri esponenti britannici del jazz più radicale la Music Improvisation Company, una sorta di band ufficiale della corrente. Nel 1970 accetta anche di far parte, quando richiesto, di due importanti orchestre internazionali come la Globe Unity e la Brotherhood of Breath con le quali registra vari dischi e tiene numerosi concerti in giro per il mondo. Dello stesso anno è anche la nascita del duo con il batterista Paul Lytton il cui lavoro in studio verrà raccolto in tre dischi. Nel 1971 realizza il sogno di dar vita a una propria etichetta discografica fondando, insieme a Derek Bailey, la Incus. Gli anni Settanta lo vedono molto attivo e impegnato in progetti con i suoi Bailey, Lytton, Von Schlippenbach e Stevens, oltre che con la London Jazz Composer's Orchestra. Progressivamente, però, la sua attività si orienta verso le "solo performance", in cui studio, sperimentazione ed esecuzione spettacolare diventano tutt'uno, come emerge dalla testimonianza di album come Saxophone solos e Monoceros. Alla fine degli anni Settanta è ormai considerato uno dei più originali strumentisti nari e cresciuti nel free jazz, tanto che viene addirittura coniato il termine "formula Evans" per definire l'originalità di uno stile nel quale la proposta sperimentale non esclude l'emotività.
Il 4 aprile 1990 muore, all’età di sessantaquattro anni, Sarah Vaughan, una delle più grandi cantanti jazz del mondo, soprannominata "The Divine" (La Divina). Solo l'anno prima aveva ricevuto il prestigioso riconoscimento del Grammy Award alla carriera. Nata il 27 marzo 1924 a Newark, nel New Jersey, a differenza di molti altri suoi colleghi jazzisti, non ha alle spalle un'esistenza tormentata o problematica, se si eccettuano i normali alti e bassi che caratterizzano un po' la vita di tutti gli artisti. Suo padre è un falegname che si diletta a esibirsi nel tempo libero come chitarrista blues, mentre la madre è corista di gospel nella chiesa del quartiere. Proprio quest'ultima la porta con sé fin da piccola e le insegna a cantare. In breve tempo diventa la beniamina del quartiere, ma la madre ha in mente altri progetti per lei. Sogna una figlia concertista classica e la iscrive a un corso di pianoforte. La giovane Sarah non ama la musica colta. Preferisce frequentare la compagnia dei suoi coetanei che strimpellano in improvvisati complessini jazz e, a diciott'anni, all'insaputa dei genitori si iscrive a un concorso per giovani talenti che si svolge nel famoso Apollo Theatre di Harlem. Qui la sua esibizione attira l'attenzione di Billy Eckstine, il cantante della Big Band di Earl Hines che parla con toni entusiastici della ragazza al leader dell'orchestra. Qualche tempo dopo il grande Hines la invita a entrare nella sua formazione come cantante e seconda pianista. Sarah accetta. In quel periodo il mondo del jazz è attraversato dalla forte ventata innovativa del be-bop. La cantante, affascinata dai "boppers" vive una lunga serie di esperienze artistiche al fianco di musicisti come Charlie Parker, Dizzy Gillespie, Benny Green, Wardell Gray e Little Benny Harris. Gelosa della sua indipendenza, Sarah Vaughan chiusa nel 1944 l'esperienza orchestrale con Eckstine, che ha ereditato la formazione di Hines, non accetterà più di avere un ruolo subordinato. Farà uno strappo alla regola soltanto nel 1945 quando per un paio di mesi si unirà alla band di John Kirby. Nel corso della sua carriera lavora con quasi tutti i grandi del jazz, da Miles Davis a Oscar Peterson, a Leonard Feather, Stuff Smith, Count Basie, Cannonball Adderley e tanti altri. Il suo stile è unico: impostato su un fraseggio ricco di articolazioni sofisticate tende a riprodurre gli stili solistici dei grandi musicisti. La sua morte priva il jazz di una delle più originali e brillanti interpreti del jazz del dopoguerra.
Il 3 aprile 1946 nasce a Castel San Giovanni, in provincia di Piacenza il sassofonista Giuseppe Parmigiani detto Beppe, una delle numerose figure carismatiche della scena jazz italiana. Lui stesso non ha mai saputo dire quando gli sia nata la voglia di fare della musica la sua principale passione. L'unica cosa certa è che a undici anni suona già nella banda del paese. A quattordici si iscrive al corso di clarinetto del conservatorio di Piacenza e nel 1967 ottiene il diploma. Nel 1975 fa le prime esperienze jazz nel quintetto di Luciano Biasutti del quale scrive buona parte delle composizioni. Con questa formazione nel 1976 incide l'album Blue bone nel quale effettua alcune improvvisazioni col flauto dolce e fa una tournée in Bulgaria partecipando al festival di Sopot. Dal 1975 insegna clarinetto al conservatorio di Piacenza. Nel 1978 collabora con la big band del Capolinea diretta da Attilio Donadio e Tullio De Piscopo. Ancora nel 1978 e nel 1980 tiene seminari sul sassofono jazz a Rovereto, in provincia di Trento, dove ha pure l'opportunità di suonare con Franco D'Andrea. Negli anni Ottanta forma una big band di ragazzi, la Sugar Kitty Band dalla quale escono moltissimi talenti del jazz italiano.
Il 2 aprile 1971 al Kilt di Roma ha inizio la seconda edizione del Pop Festival Italiano, una delle più importanti rassegne del panorama alternativo italiano. Il programma della manifestazione prevede che nell’arco di due giorni si esibiscano gruppi e artisti emergenti di generi diversi. Il pubblico accoglie un po’ freddamente Antonello Venditti che come gran parte degli artisti che gravitano intorno al Folk Club presenta le sue canzoni nel settore riservato al folk. Ai brani del cantautore romano vengono preferite le esibizioni di gruppi come La Pace e La Saggia Decisione. La rassegna ha in cartellone gran parte delle band più promettenti del periodo come i Punto, i Panna Fredda, i Fiori di Campo, gli Osanna, i Crisalide, i Free Love e Il Ritratto di Dorian Gray. Una curiosità è costituita dalla performance d’ispirazione afro-cubana de I Ragazzi di Mary Afy.
La sera del 1° aprile del 1984, un'ambulanza arriva a sirene spiegate al 2101 South Grammercy di Los Angeles, dove c'è la casa del vecchio reverendo Gaye, un pastore evangelico famoso nel quartiere, oltre che per le sue prediche, per il fatto di essere il padre del cantante e compositore Marvin Gaye. Il personale dell'ambulanza entra correndo in casa e si trova di fronte a una scena agghiacciante. Steso a terra c'è Marvin Gaye immerso in una pozza di sangue, mentre seduto su una sedia con la testa tra le mani il padre ripete come un automa: «Mi voleva uccidere, mi sono solo difeso…». All'arrivo della polizia si lascia ammanettare senza opporre resistenza. Ha ucciso il figlio con un colpo solo al cuore sparato da una pistola che gli era stata regalata pochi giorni prima dallo stesso Marvin. Sostiene di non aver avuto alternative perché il figlio, in preda alla droga, avrebbe tentato d'ucciderlo. I giudici accoglieranno parzialmente la tesi della legittima difesa e lo condanneranno a cinque anni di carcere. Finiscono così la vita e la straordinaria carriera di Marvin Gaye alla vigilia del suo quarantacinquesimo compleanno. Da tempo in preda a frequenti crisi depressive non aveva mai completamente riassorbito lo shock della morte di Tammi Terrell, la compagna artistica svenuta in scena tra le sue braccia nel 1969. Non a caso dopo la scomparsa le sue canzoni erano divenute più problematiche e profonde. Considerato negli anni Settanta uno dei più grandi solisti neri della storia del rock aveva saputo rinnovarsi e mantenere inalterata la sua popolarità anche all'inizio del decennio successivo pur dando l'impressione di non riuscire più a liberarsi dai problemi derivati dall'eccessivo uso di stupefacenti e da una vita privata costellata da delusioni. Pochi mesi prima della sua morte si era trasferito nella casa dei genitori in cerca di aiuto, ma i vicini raccontano di frequenti liti con il padre, rigoroso predicatore, che lo accusava di essere un cattivo esempio per i giovani. Pochi giorni prima di morire aveva regalato lui all'austero genitore la pistola che l'avrebbe ucciso. C'è chi ipotizza che la sua morte sia stato un atto deciso a freddo, come David Ritz, l’autore una biografia molto dettagliata del cantante che scrive: «Credo che quel regalo fosse del tutto intenzionale... Marvin sapeva quello che faceva: voleva morire. Solo quattro giorni prima di essere ucciso si era buttato fuori da una macchina che viaggiava a novanta chilometri all’ora su una Freeway di Los Angeles».
Una selva di microfoni attende al varco il 31 marzo 1987 Dave Mustaine, il leader e chitarrista dei Megadeth, mentre si reca all’udienza preliminare di una lunga e complicata causa che riguarda il nome della band. È stato, infatti, citato in giudizio da un gruppo che si chiama Megadeth e che sostiene di essere stato il prima a chiamarsi così. Non è una questione da poco perché la citazione, oltre a esigere il cambiamento del nome di una delle band di punta del panorama metal di quel periodo, è accompagnata da una cospicua richiesta di risarcimento danni. Assonnato e inquieto, Dave Mustaine, prima tenta di sfuggire, poi affronta con aria insofferente lo sbarramento dei giornalisti e le inevitabili domande. «Non conosco il gruppo che mi ha citato, ma se lo ha fatto avrà avuto le sue buone ragioni che possono essere molto diverse da quelle che sembrano...». La frase sibillina lascia ampi margini di interpretazione. Una giornalista più intraprendente riesce a piazzare direttamente sotto il naso del chitarrista il proprio registratore e a chiedergli «Vuoi dire che si tratta di una storia inventata ad arte per spillarvi un po’ di soldi?» Mustaine risponde secco: «Non ho niente da dire, ma sono sicuro che il denaro e i muscoli ci aiuteranno a risolvere anche questo problema. Ci sono due gruppi con lo stesso nome? Alla fine ne resterà uno solo...». Non ha torto. La vicenda finirà per sgonfiarsi e i Megadeth continueranno una carriera iniziata nel 1983, a San Francisco, quando Dave Mustaine lascia i Metallica perché non vuole restare prigioniero delle operazioni di commercializzazione e omologazione dell'heavy metal. Lo affiancano nell’impresa l’altro chitarrista Chris Poland, il bassista Dave Ellefson e il batterista Gars Samuelson. I Megadeth, nati per contrastare l'immagine rassicurante e ben curata dei gruppi heavy storici, recuperano la carica antagonista del rock più violento proponendo fin dal primo disco Killing is my business... and business is good, un trash sanguigno e provocatorio. Problemi di droga, vari cambiamenti di formazione e altre vicissitudini rendono difficile la vita di una band refrattaria alle richieste del music businnes. Incuranti delle regole del mercato nel cuore degli anni Ottanta realizzano addirittura una loro versione di Anarchy in the UK dei Sex Pistols alla quale partecipa anche Steve Jones, uno dei componenti originali degli stessi Pistols.
Il 30 marzo 1940 nasce a Salvador de Bahia, in Brasile, Astrud Gilberto. Il suo nome vero è Astrud Evangelina Weinert e il nome d'arte le arriva quando diventa moglie del famoso chitarrista brasiliano Joăo Gilberto. Trascorre la propria infanzia a Rio, dove la famiglia si trasferisce quando lei ha due anni. Pur interessandosi alla musica, non pensa propio di trasformare l'hobby in una professione fino al 1963 quando partecipa occasionalmente a una incisione di Stan Getz in cui collabora suo marito Joăo Gilberto. Quest'ultimo, non sapendo cantare in inglese le parole di The Girl From Ipanema versione anglofona di A Garôta de Ipanema chiede alla moglie di sostituirlo. La versione del brano, pubblicata nel 1964, ottiene un successo che va al di là di qualsiasi previsione e viene votata come migliore incisione jazzistica dell'anno. Astrud Gilberto inizia così una imprevista carriera musicale che la porta a collaborare ulteriormente con Getz e successivamente con il celebre arrangiatore Gil Evans. Negli anni Settanta diminuisce progressivamente la sua attività. Oggi il suo nome è per sempre legato al mito della "ragazza di Ipanema".
Il 29 marzo 1985 l'ex suora cantante Jeanine Deckers e la sua compagna Annie Pescher scelgono di darsi insieme la morte. La notizia, pubblicata da tutti i giornali europei e statunitensi riporta all'attenzione della cronaca la vicenda di Suor Sorriso e delle sue canzoni, uno dei fenomeni più straordinari della musica pop all'inizio degli anni Sessanta. In quel tempo Jeanine è una suora del convento di Fichermont, in Belgio, con il nome di Luc Gabriele. Oltre a insegnare ai giovani studenti che frequentano la scuola del convento, si diletta a suonare la chitarra e a comporre canzoni. Nel 1961 ha ventotto anni e, spinta dall'esuberanza giovanile dei suoi studenti, si fa convincere a registrare i suoi brani negli studi di una casa discografica. Non ha l'assenso della Madre Superiora e non lo chiede nemmeno, temendo un rifiuto. Al tecnico che chiede quale nome debba scrivere sul materiale registrato lei dichiara di chiamarsi "Soeur Sourire" (Suor Sorriso). Il gioco di complicità con i suoi studenti finisce lì, e l'episodio è ormai dimenticato quando nel 1963, due anni dopo viene pubblicata in singolo la sua Dominique, una canzone dedicata all'ordine delle Dominicane di cui fa parte. Il successo è immediato e straordinario, tanto che in breve tempo viene immesso sul mercato anche un album con tutte le canzoni registrate dalla suora canterina. Sulla copertina dei dischi destinati al mercato europeo c'è il nome di Suor Sorriso, mentre su quelli per gli Stati Uniti il nome cambia in The Singing Nun (la suora canterina). Proprio negli States diventa la prima interprete femminile con album e singolo contemporaneamente al primo posto della classifica. Con la notorietà, per la piccola suora iniziano i guai tanto che, il 6 gennaio 1964, può cantare in diretta dal suo convento davanti alle telecamere dell'Ed Sullivan Show solo dopo che l'intervento del Vescovo ha vinto le resistenze della Madre Superiora. Nel 1966 Debbie Reynolds porta la sua storia sugli schermi. L'ambiente del convento, le proibizioni e le gelosie suscitate dalla sua popolarità finiscono, però, per cambiarle definitivamente la vita. Non riuscendo a resistere alle pressioni, nella seconda metà degli anni Sessanta suor Luc Gabriele lascia gli abiti religiosi, abbandona il convento e recupera il suo vero nome cercando di vivere la sua vita lontano dai riflettori. La storia di Suor Sorriso si conclude però in quel tragico 29 marzo 1985 quando, insieme alla sua compagna Annie Pescher, si accorge di non avere più la forza di vivere.
Il 28 marzo 1886 a Milano, nel corso della "Festa proletaria del Partito Operaio Italiano" viene eseguito per la prima volta un brano intitolato Inno dei Lavoratori, composto dal maestro Amintore Galli su un testo di un giovane ancora poco conosciuto che risponde al nome di Filippo Turati, il futuro apostolo di quella corrente che verrà chiamata "umanesimo socialista". È una marcia trascinante destinata a sopravvivere ai suoi stessi autori e a diventare, insieme a Bandiera Rossa e a L'internazionale, uno dei tre più significativi inni del movimento operaio italiano. Il testo possiede uno straordinario impatto evocativo. Guarda al nuovo secolo che si affaccia all'orizzonte come a quello del riscatto: non si tratta di un auspicio, ma di una incrollabile certezza. Fin dall'attacco «Su fratelli…» dà l'impressione che il tempo dei dubbi e dei tentennamenti sia ormai alle spalle del movimento operaio. Nelle sue otto lunghe strofe la condizione sociale e la prospettiva del riscatto sono strettamente intrecciate grazie a un ritornello decisamente efficace: «Il riscatto del lavoro/de' suoi figli opra sarà/o vivremo del lavoro/o pugnando si morrà». Par di intuire che la lotta, nelle intenzioni di Turati, non abbia lo scopo di esaurirsi subito, ma punti a caratterizzare l'alba del Novecento, il secolo in cui finalmente il proletariato saprà affrancarsi. All'orecchiabilità del brano contribuisce anche la parte musicale di Amintore Galli, la cui passione per le atmosfere bandistiche traspare fin dalla prima nota. Il compositore, nato a Talamello, un borgo tra Pesaro e Urbino, al momento della prima esecuzione del brano ha quarantadue anni. Vent'anni prima ha combattuto con Garibaldi a Bezzecca e, dopo un periodo passato a Finale Emilia dove ha diretto la banda cittadina e la scuola comunale di musica, è arrivato a Milano per ricoprire il prestigioso incarico di direttore artistico dello Stabilimento Musicale Sonzogno. Parallelamente svolge anche l'attività di critico musicale del quotidiano "Il Secolo", ma nell'ambiente musicale è conosciuto soprattutto come compositore di opere liriche. Proprio alla lirica affida il sogno della sua immortalità artistica, ma, nonostante la discreta popolarità del suo "David" (rappresentato per la prima volta a Milano nel 1904), saranno proprio le trascinanti note dell’Innodei Lavoratori a far rivivere il suo nome ben oltre il "secolo del riscatto". Il brano, pur avendo una struttura musicale duttile, non subirà rimaneggiamenti significativi nel corso degli anni, né sarà oggetto di modernizzazioni o recuperi particolari da parte dei generi musicali del Novecento. Dei tre inni più significativi del movimento operaio italiano è quello meno cantato sulle piazze e, probabilmente, quello che esercita il minor fascino sulle giovani generazioni.
Il 27 marzo 1946 a New York muore il cantante, autore e macchiettista Farfariello, una delle più popolari figure della musica napoletana negli States. Nato a Cava dei Tirreni, in provincia di Napoli, il 14 aprile 1882 all’anagrafe viene registrato con il nome di Eduardo Migliacci. Di famiglia benestante, terminati gli studi di ragioneria si trasferisce negli Stati Uniti, ad Hazleton in Pennsylvania, per lavorare nell’istituto bancario nel quale lavora anche il padre. L’idea della famiglia è quella di mandarlo lontano da casa per aiutarlo a “togliersi i grilli dalla testa”. Il sogno del ragazzo infatti è quello di esibirsi sul palcoscenico e l’invio oltreoceano non serve granché. Il cambiamento d’aria non cambia le idee di Eduardo che alla carriera di bancario preferisce quella di cantante e nel 1912 debutta in un caffé Chantant di New York. In breve tempo è uno dei protagonisti del teatro leggero newyorkese. Particolarmente apprezzato per le canzoni umoristiche deve il suo pseudonimo e la sua popolarità al brano Farfariello, da lui composto. Nel 1936 torna a Napoli, dove la sua fama l’ha preceduto e l’anno dopo entusiasma pubblico e critica con un recital al Teatro Augustus entrato nella leggenda. La sua permanenza in Italia è destinata a restare soltanto un episodio della sua lunga carriera. Poco tempo dopo torna definitivamente negli Stati Uniti affermandosi come uno dei principali interpreti del repertorio tradizionale napoletano. Di lui resta anche un gran numero di dischi pubblicati dalla Victor.
Il 26 marzo 1924 nasce a Firenze il cantante e batterista Franco Rosselli destinato a lasciare un segno nella storia del pop italiano come leader del gruppo Franco e i G 5, una delle formazioni più popolari degli anni Cinquanta prima dell’avvento del beat. La storia del gruppo inizia nel 1949 quando Rosselli forma il suo primo quartetto destinato a diventare l’anno dopo, con l’aggiunta di un elemento, Franco e i G 5. La composizione del gruppo è estremamente variabile, tanto che il nome può essere considerato, a tutti gli effetti, una sorta di nome d’arte dallo stesso Rosselli, unico elemento fisso della formazione. A partire dal 1952 Franco e i G5 sono protagonisti di un notevole successo con brani ispirati ai nuovi ritmi sudamericani, soprattutto al cha-cha-cha. Molti loro dischi diventano campioni di vendite. Il grande successo dura fino alla fine degli anni Cinquanta. Nel 1959, per tentare di far fronte al declino della sua popolarità, tenta di rilanciarsi con un nuovo ballo tropicale. È il merengue, un ritmo destinato a far furore qualche decennio dopo che però in quel periodo non riesce a ridare al gruppo lo smalto perduto. Un vento nuovo sta soffiando sulla penisola travolgendo nuovi e vecchi miti, compresi Franco e i G5, che nel 1961 partecipano al Festival di Napoli con l’incarico di riepilogare i motivi di gara.
Il 25 marzo 1938 Charles Trenet si esibisce all’ABC di Parigi in uno spettacolo tutto per lui. Il concerto è un po’ un test dopo il suo primo successo come solista con Je chante un brano nato sotto l'ala protettiva di Maurice Chevalier. L’applauso caloroso del pubblico in sala rinfranca il giovane chansonnier e attenua le paure, ma la vera sorpresa sono i giudizi della critica. I titoli dei giornali il giorno dopo raccontano che «une nouvelle étoile vient de naître», cioè “sta nascendo una stella”. Anche la Parigi che conta è tutta per lui. Fra i più soddisfatti ci sono Jean Cocteau, Max Jacob, Colette,e anche un Chevalier ancora un po' incredulo. Nel 1938 Trenet vince il Prix du Disque e tutta Parigi impazzisce per questo giovane che mescola swing e poesia, tradizioni e rinnovamento attingendo a piene mani dalla straordinaria ed effimera vivacità di un periodo che vive con la stessa intensità il Fronte Popolare, il jazz e il surrealismo. In breve tempo assurge a mito e le sue canzoni, Je chante, Y'a d'la joie, Le soleil et la lune, La mer, Douce France e tante altre diventano la fonte d'ispirazione primaria per gran parte dei protagonisti della canzone francese contemporanea, da Georges Brassens, che lo ha sempre considerato suo padre spirituale, a Jacques Higelin. Da quel momento il passare degli anni non scalfisce la sua popolarità. Il suo spirito sembra vivere fuori dalle miserie del tempo che scorre. Nel 1978 pubblica un libro di memorie, "I miei anni giovanili" e lo presenta annunciando di voler cantare per sempre, cioè fino a quando la salute lo regge.
Fumo, urla e grida caratterizzano un locale "difficile" come il Performance Studio di New York, uno dei covi della musica alternativa della città. Il 24 marzo 1974, accolti da ululati e fischi, si presentano sul palco quattro ragazzi di Forest Hill. Sembrano uguali e indistinguibili tra loro: capelli lunghi lisci e neri, jeans blu, t-shirt bianca e un paio di impenetrabili occhiali neri. Sono i Ramones, dicono di essere cugini e di avere in comune il cognome Ramone. Ovviamente non è vero. Il nome del gruppo è preso a prestito da Phil Ramone, uno degli pseudonimi utilizzati da Paul McCartney e l'unica cosa che li accomuna è la provenienza dallo stesso quartiere di Forest Hill. Il cantante Joey Ramone si chiama in realtà Jeffrey Hyman, il chitarrista Johnny Ramone è l'ex Sniper Johnny Cummings, il vero nome del bassista Dee Dee Ramone è Douglas Colvin mentre dietro allo pseudonimo di Tommy Ramone si nasconde l'ungherese Thomas Erdelyi. La loro esibizione del 24 marzo è devastante e lascia senza fiato anche un pubblico difficile come quello del Performance: volume al massimo e brani a ritmo tiratissimo che durano il breve spazio di un respiro. La band resta immobile sul palco per tutto il tempo con il chitarrista e il bassista schierati ai lati del cantante. Nessuna parola viene sprecata tra un brano e l'altro che si susseguono senza presentazione. I turbolenti frequentatori del Performance assistono scioccati a un'esibizione che non ha precedenti e che verrà successivamente ricordata come la nascita del punk rock. Tra il pubblico è presente il giornalista Danny Field che, per primo, intuisce le potenzialità del gruppo e ne diventa il manager. In breve tempo diventano la bandiera dei giovani emarginati delle metropoli statunitensi e dopo la devastante esibizione Summer Rock Festival del 1975 vengono scritturati dalla Sire Records. Nel febbraio del 1976 pubblicano il primo album Ramones, registrato in soli tre giorni, che pur non riuscendo a sfondare sul piano delle vendite diventa un successo nel circuito alternativo. L'anno dopo il neonato movimento punk adotta come inno la loro Sheena is a punk rocker. Marginali per scelta resteranno fedeli alla loro immagine anche dopo la fine della breve fiammata del punk. Nel 1979 parteciperanno al film "Rock 'n' Roll High School" interpretando se stessi. Sempre in bilico tra scioglimenti annunciati e clamorosi rientri sopravviveranno, con vari cambiamenti di formazione, al passare delle mode, senza mai perdere l'antico smalto. Solo la morte di Joey Ramone chiuderà per sempre la loro storia.
Il 23 marzo 1967 Brian Poole, fino a quel momento cantante del gruppo Brian Poole & The Tremeloes, pubblica That reminds me baby il suo primo disco da solista. Anche sul piano formale viene così a perfezionarsi il divorzio tra la band che era stata preferita della Decca ai Beatles e il suo cantante e frontman. In molti pensano che la pubblicazione del singolo segni, nei fatti, la fine dell'avventura del gruppo nato nel 1959 e l'inizio di una lunga e fortunata carriera solista per Brian. Non sarà così. L'esperienza solistica di Brian Poole è destinata a esaurirsi rapidamente senza lasciare traccia, o quasi. La delusione sarà così cocente che il ragazzo deciderà per qualche tempo di abbandonare le scene e di tornare a lavorare nella macelleria della sua famiglia. Strano destino, visto che al momento della separazione i più disperati sembrano i suoi ex compagni: i chitarristi Alan Blakely e Rick West e il batterista Dave Munden. I tre, dopo un primo momento di incertezza, decidono di continuare con il nome di The Tremeloes. Incuranti dello scetticismo generale e dell'aperta ostilità della Decca, la loro casa discografica, che si rifiuta di assecondarli ritenendoli destinati all'insuccesso, serrano le fila e si riorganizzano. Inseriscono in formazione il bassista Len "Chip" Hawkes e, vista la determinazione della Decca di puntare tutte le sue carte sul loro ex leader, cercano e trovano ospitalità in un'etichetta concorrente, la CBS. In quello stesso 1967, mentre Brian Poole fatica, nonostante lo sforzo promozionale, ad affermarsi, i "nuovi" Tremeloes pubblicano Here comes my baby, un brano composto da un autore fino a quel momento sconosciuto che risponde al nome di Cat Stevens. Il singolo vende oltre un milione di copie ed entra in classifica sia in Gran Bretagna che negli Stati Uniti. Senza il suo carismatico leader la band si rivela una forza della natura , mentre Brian Poole, privato della sua band, si è tramutato in uno dei tanti modesti cantanti che animano la scena musicale britannica di quel periodo. Non è finita qui perché, sull'onda del successo ottenuto, i Tremeloes coglieranno una serie di successi impressionanti con brani come Silence is golden, Even the bad times are good,Suddenly you love me e My little lady. Il periodo d'oro durerà fino ai primi anni Settanta quando, di fronte all'affermarsi di nuovi stili, personaggi e gusti musicali, sceglieranno di non rinnovarsi e di continuare a ripetersi all'infinito.
All'inizio del 1974 si fa sempre più insistente la voce di un possibile scioglimento dei Ten Years After pur senza trovare conferme sul piano ufficiale. Il 22 marzo 1974 la bluesband ha in programma un concerto al Rainbow di Londra. I giornalisti aspettano al varco i componenti per chiedere se davvero la storia del gruppo sia arrivata al capolinea. Per tutti risponde in modo scorbutico e seccato il chitarrista e leader carismatico Alvin Lee: «Nel nostro ambiente circolano tante sciocchezze. Una di queste è quella relativa al nostro scioglimento. Non abbiamo alcuna intenzione di chiudere qui il nostro percorso musicale. Non ho altri commenti da fare». Il concerto del Rainbow, però, non toglie i dubbi. Assomiglia infatti a una lunga cavalcata d'addio, nella quale i brani "storici" si alternano a quelli nuovi contenuti nell'album Positive vibrations. In ottima forma, i Ten Years After ripercorrono le tappe della loro carriera iniziata nel 1966 quando Alvin Lee, l'ex chitarrista dei Jailbreakers e degli Atomites, decide di dar vita a una formazione in grado di proporre un solido blues bianco innovativo nei suoni, ma rispettoso della tradizione. Con lui ci sono il batterista Ric Lee, il tastierista Chick Churchill e il bassista Leo Lyons, già suo compagno d'avventura negli Atomites. Un anno dopo i Ten Years After fanno il loro debutto ufficiale al settimo festival di Jazz e Blues di Windsor entusiasmando pubblico e critica. Nel 1969 partecipano al Newport Jazz Festival, ma la definitiva consacrazione avviene allo storico Festival di Woodstock dove la loro esecuzione di Goin' home viene anche inserita nel film di Altman sull'avvenimento. Alvin Lee si ritrova proiettato nella cerchia ristretta dei migliori chitarristi blues di quel periodo. Il momento magico non dura molto. Nel 1972 la critica stronca l'album Rock and roll music to the world e da più parti si inizia a parlare di una crisi creativa del gruppo. Il concerto del Rainbow arriva dopo un lungo periodo di silenzio discografico interrotto solo dalla pubblicazione del doppio live Recorded live e dall'album On the road to freedom di Alvin Lee con Mylon LeFevre. Sarà l'ultima esibizione britannica della band che pochi mesi dopo si scioglierà. Quando i giornalisti gli chiederanno conto della sua dichiarazione tranquillizzante, ma falsa, del 22 marzo Alvin Lee risponderà: «È vero, sono un bugiardo, ma ho mentito per amore del nostro pubblico. Quel giorno, però, speravo che la storia dei Ten Years After potesse continuare».
Il 21 marzo 1991 muore in California a ottantaquattro anni Leo Fender. Senza di lui probabilmente la storia del rock sarebbe stata diversa. Pioniere delle ricerche sull'elettronica applicata alla musica, divide con Les Paul il merito di avere sviluppato la chitarra elettrica come uno strumento autonomo e non come una semplice amplificazione della chitarra acustica. Le sue prime ricerche, iniziate negli anni Quaranta, su modelli "a cassa piena" vengono accolte con perplessità e sembrano del tutto prive di applicazione pratica. Il suo ragionamento è semplice: «Perché utilizzare un microfono per amplificare un suono già amplificato dalla cassa della chitarra? Non è più semplice considerare la chitarra elettrica uno strumento del tutto diverso da quella acustica e utilizzare l'amplificazione artificiale già dal momento in cui il suono si produce?». L'idea viene vista come una sorta di bizzarrìa in un periodo in cui la musica pop è quasi totalmente abbarbicata alla tradizione degli "standard". Non trovando sufficiente interesse da parte delle industrie produttrici di strumenti musicali decide di andare avanti lo stesso mettendosi in proprio e fonda nel 1947 la Fender Company, un'azienda che ha tra gli scopi sociali la progettazione e la costruzione di chitarre elettriche. I suoi clienti più antichi sono jazzisti e bluesmen, ma già bussa alle porte la prima generazione di rocker. Due modelli in particolare, la Telecaster e la Stratocaster diventano parte della leggenda del rock e fanno da balia a tutta la prima generazione di chitarre elettriche. Steve Cropper degli MG's è uno dei primi a dare impulso all'uso della Telecaster, mentre Buddy Holly e Hank Marvin, il chitarrista degli Shadows, sono gli alfieri della Stratocaster, la stessa che Jimi Hendrix trasformerà poi nell'emblema della sua musica d'avanguardia. Nel 1967 Fender, stanco di occuparsi degli aspetti amministrativi della sua attività, cede la sua azienda alla CBS per la ragguardevole somma di tredici milioni di dollari, pur riservandosi un ruolo importante nella sperimentazione a nella progettazione. Alla sua genialità si deve anche la creazione di uno dei bassi più significativi della storia del rock, il Fender Jazz Bass, utilizzato tra gli altri da Sting o Jaco Pastorius. Quando muore sta sviluppando nuovi studi sull'utilizzo del computer nella produzione sonora, dopo aver recuperato, nel 1980, parte della propria autonomia produttiva fondando la G&L Musical Products.
Il 20 marzo 1933 sul palcoscenico del Théâtre des Champs-Elysées presenta per la prima volta una nuova forma di récital alternando brani musicali di generi diversi con la lettura e la recitazione di poesie e di brani letterari. La formula che poi gli statunitensi ribattezzeranno "reading" incontra l'interesse del pubblico. Inizia un periodo trionfi straordinari che sembrano destinati a non finire mai mentre molti brani del suo repertorio diventano un punto di riferimento per altre interpreti. Ancora oggi Marie Dubas è considerata la prima cantante “moderna” della storia della canzone francese proprio per la sua capacità di rifuggire dagli schemi e di alternare, nelle sue esibizioni dal vivo, drammatiche citazioni prese in prestito dalla “chanson réaliste”, brani tradizionali, pezzi comici ed escursioni romantiche nella melodia più classica. Nonostante il successo il destino non è stato generoso con lei. Persecuzioni, malattie e qualche incomprensione di troppo ne hanno costellato l’intera carriera caratterizzata da grandi momenti di successo alternati a difficoltà quasi sempre non dipendenti dalla sua volontà. La sua personalità sulla scena, il suo modo di cantare, la sua capacità di fondere la teatralità dei gesti con una voce unica per drammaticità e coloriture hanno influenzato negli anni successivi moltissime altre cantanti francesi. A lei si sono in vario modo ispirate Anny Cordy, Mathé Althéry, Suzy Delayr, Juliette Gréco, Patachou, Anne Sylvestre, Sylvie Vartan e tante altre. A lei si è ispirata soprattutto la grande Edith Piaf, l’Usignolo di Francia che ha finito per assomigliarle non soltanto sul palcoscenico ma anche per il faticoso e sfortunato approccio alla vita.